Una prefazione che è già un saggio
Nella prefazione a Timidi cristiani di Sabina Baral, Paolo Ricca sceglie un tono ironico e riflessivo, definendo l’opera un pamphlet — un termine colto, dal sapore polemico ma non aggressivo. Fin dalle prime righe si affida a una captatio benevolentiae, ovvero una tecnica retorica volta a conquistare la simpatia del lettore. Ma è soprattutto attraverso una metafora potente, quella dell’intreccio tra Cristianesimo ed Europa, che Ricca costruisce il quadro entro cui collocare il libro.
In questa prefazione politica cogliamo l'occasione per riflettere sull’interrogativo posto dal 25 aprile e dal Primo maggio a noi, italiani, europei e cristiani di oggi.
Il teologo sceglie di parlare di Cristianesimo, evitando il termine più controverso di Chiesa, e lo mette in dialogo con il concetto di Europa, non solo come entità geografica, ma come spazio culturale e politico. Una scelta che amplia immediatamente il raggio d’interesse: non solo per chi crede, ma anche per chi “tiene all’Europa e al suo futuro”.

Un discorso che si distacca dal libro?
E riesce pienamente nel suo intento: introduce il libro offrendo al lettore una chiave di lettura ampia e inclusiva. Tuttavia, chi legge Timidi cristiani potrebbe accorgersi che l’autrice percorre un’altra direzione. Da qui nasce una domanda: che cosa sceglie di leggere Ricca nel testo di Baral?
Il teologo individua — e valorizza — un intreccio storico e simbolico tra Cristianesimo ed Europa, un legame che, a suo avviso, riguarda ogni cittadino europeo, credente o meno. Tuttavia, questo sguardo geopolitico non è esplicitamente presente nel testo dell’autrice, che si concentra piuttosto su una riflessione ecclesiologica e spirituale interna.
Un intreccio complesso: tra storia, Bibbia e mito
Ricca descrive questo intreccio come una sorta di destino incrociato. Il Cristianesimo, nato nel Vicino Oriente, è oggi una realtà globale, con espressioni culturali e spirituali che vanno ben oltre il perimetro europeo. Eppure l’Europa — nata prima del Cristianesimo — ne è stata per secoli l’interprete e spesso il principale mediatore.
Per rendere più efficace questa complessità, Ricca sembra evocare due archetipi molto diversi tra loro:
il rapporto difficile tra Ismaele e Isacco (Genesi 16), due fratellastri che rappresentano una fraternità mancata, fatta di rivalità e distanza;
il ratto di Europa da parte di Zeus (Ovidio, Metamorfosi II), che suggerisce una relazione fondata su inganno e seduzione.
In entrambi i casi, emerge un’immagine di relazione squilibrata, ambigua, forse persino conflittuale. Chi incarna oggi l’Europa e chi il Cristianesimo? Non c'è una risposta, ma l'invito a tenere viva la tensione interpretativa.
Il cuore della proposta di Baral
Dopo aver delineato questo sfondo ampio, Ricca rientra nel testo e dialoga idealmente con l’autrice. Sottolinea con apprezzamento alcuni dei nodi centrali del libro:
l’alfabetizzazione interiore, ovvero la capacità di dare nome a ciò che si agita dentro di sé;
la critica alla superficialità del vissuto cristiano: assenza di meditazione, incapacità di articolare la fede, rifiuto del silenzio, indifferenza all’annuncio, sottovalutazione della gratitudine.
Particolarmente significativi, secondo il teologo, sono i capitoli 8 e 17: “La forza di essere minoranza” e “Il valore della gratitudine”. Due momenti chiave, che Ricca considera decisivi per comprendere la vocazione cristiana oggi.
Conclusione: una prefazione che parla anche a chi non legge il libro
In definitiva, la prefazione di Paolo Ricca ha una forza autonoma rispetto al libro che precede. Non si limita a presentare l’opera, ma ne amplia la portata. È un’introduzione, ma anche una riflessione compiuta, capace di interrogare il lettore su temi che vanno oltre le pagine del libro.
Conferenza ONLINE
Mercoledì 7 maggio alle ore 20:30 dal canale YouTube: https://www.youtube.com/live/K4kNj1qnhkQ?si=OA6OLlvGyzGqLvM-
L'autrice sarà in dialogo con Andrea Demartini e Francesca Nuzzolese - modera Emanuele Campagna.
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