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Evangelici, Ebrei, Cattolici in un dialogo autentico, giusto, vero!

Evangelici, Ebrei, Cattolici in un dialogo autentico, giusto, vero!

Il vero leader non è il più forte o il più bravo, è quello che aiuta gli altri ad essere più forti e più bravi  

Massimo Proietti  

Signore nostra giustizia  

Geremia 23, 6  

 

La Tua giustizia è giustizia eterna è stato la sentenza-titolo del convegno tenutosi tra il 26 e il 28 luglio 2024 a Poppi (Arezzo) presso il Monastero di Camaldoli. Convegno ispirato della giovanile dell'AEC. Massimiliano Boni (ebreo) Donata Horak (cattolico) ed Emanuele Campagna (evangelico) sono intervenuti su: la giustizia divina è un invito a farsi parte del cambiamento nella società (dalla prospettiva della Torah), l’evoluzione in senso relazionale della pena (diritto canonico e discipline affini) e la giustizia dalla prospettiva dell’antropologia biblica, immaginando il Salmo 111 nell’attualità delle vite dei giovani e delle giovani convenuti.  

Premettiamo che il concetto di giustizia nella tradizione evangelica è inerente la dottrina della giustificazione e riflette tutto lo spessore della riflessione ecclesiologica nella storia del protestantesimo. In questa stratificazione di calchi semantici la dialettica si è fatta diacronica (i lasciti dei padri sono accolti e attualizzati sulla base dei ritrovati del presente) e sincronica (solo nel Novecento la riflessione sulla giustizia ha conosciuto un’ampia messe di tendenze metodologiche[1]). In questa pluralità si impone una lezione su tutte: la parola della chiesa è una parola penultima.  

Tra le tendenze vive nella riflessione ecclesiologica sulla giustizia il nostro approccio è quello di un commento del Salmo 111: giustizia - insieme con la verità - come l'esito dell'incontro Dio-essere umano. Un incontro che nasce dalla necessità di comunità che il pastore Peter Ciaccio ha definito fondamentale [2] . In estrema sintesi, il commento che segue spiega la giustizia come partnership autentica tra Dio e l’essere umano in assemblea.  

 

 

SCHEMA NARRATIVO, POETICA E LESSICO DEL SALMO  

 

Nel salmo distinguiamo: un’apertura (vv. 1-3), tratta i temi della gratitudine, della giustizia dell’Eterno in opere e della ricerca operosamente innamorata di quelle opere da parte dei fedeli riuniti in assemblea. Una strofa (vv. 4-9), il vero corpus dell’inno dove si trova esplicitata la tsedaqah, rievocando dall’epopea esodica il credo yavista (prodigi e libertà dall’Egitto, sostentamento nel deserto, la legge presso il Sinai, l’alleanza mosaica e la conquista della Terra) e una chiusa (v. 10) dove le opere giuste dei retti (timorati dell’Eterno) sono lodate (mostrate) come una forma di sapienza eterna. Il salmo – all'apparenza una filastrocca alfabetica (per la cornice alfabetica propria anche di 9; 10; 25; 34; 37 e del Salmo 119) – è una vera e propria poesia, con una metrica prosodica: 3 + 3, la cui datazione post-esilica lo pone in un orizzonte letterario di grande spessore creativo. L’autore di questo salmo è lo stesso del 112, questi 2 salmi insieme agli immediati successivi 113-117, sono detti salmi alleluiatici, poiché in tutti primeggia l’incipit: alleluia (un’antifona liturgica). Il componimento è una celebrazione delle gesta dell’Eterno secondo il genere sapienzale e proprio della funzione comunicativo-liturgica del CREDO (al pari di Deuteronomio 6 šemac isra’el YHWH ’eloenu YHWH ’echad o in contesto cristiano del Simbolo apostolico o di quello niceno-costantinopolitano) e non di quella dell'inno di lode (su cui Ravasi 1984 indugiava ancora). La tesi di fondo del Salmo è “la testimonianza epica (nella lode riconoscente e nell’obbedienza alleata) dell’amore redentore di Dio dà vita eterna” (Deissler).  

Ne emerge una narrazione di lode delle azioni di Dio-uomo che suggerisce l’immagine di una spirale a doppia elica (celeste e terrena) e che si avviluppa dallo slancio di amore incessante nel luogo dell’alleanza eterna tra le opere del Signore, la lode dei retti, la giustizia del Signore che salva e il godimento qui e ora della salvezza eterna. Anche il commento tenta un avvitamento a spirale per comprendere il messaggio sulla verità della giustizia operata dall’Eterno.  

 

Versione da Ravasi (1984) e miei accorgimenti  

Alleluia  

[’ALEF] 1. Ringrazierò il Signore con tutto il cuore  

[BET] nel consesso dei retti e nell’assemblea.  

[GIMEL] 2. Grandi sono le opere del Signore.  

[DALET] Ricercano esse coloro che le amano [3] .  

[HE] 3. Splendore e maestà è la sua azione,  

[WAW] e la sua giustizia permane per sempre.  

[ZAIN] 4. [Un] memoriale ha fissato per i suoi prodigi.  

[CHET] Grazioso e tenero è il Signore.  

[TET] 5. Cibo ha dato a chi lo teme,  

[JOD] si ricorda per l’eternità della sua alleanza.  

[KAF] 6. [la] potenza delle sue opere mostrò al suo popolo  

[LAMED] dandogli l’eredità delle genti.  

[MEM]7. [Le] opere delle sue mani sono verità e diritto  

[NUN] Stabili son tutti i suoi comandamenti,  

[SAMEK] 8. immutabili per l’eternità per sempre.  

[CAJN] Eseguiti con verità e rettitudine  

[PE] 9. Redenzione mandò al suo popolo,  

[TSADE] stabilì per l’eternità la sua alleanza  

[QOF] Santo e terribile è il suo nome!  

[REŠ] 10. Principio della Sapienza è il timore del Signore  

[ŠIN] Intelligenza buona è per coloro che agiscono così.  

[TAU] Lode di lui permane per sempre.  

 

 

La poetica, rozza in superficie per la presenza vistosa del procedimento mnemotecnico dell’alfabeto,  è quella della pepita non ancora sgrassata dalla terra e che poi, una volta nettata, riluce splendente. Similmente il nostro testo se liberato degli automatismi dell’ordine alfabetico rivela un’intelligenza letteraria preziosa. Infatti, la cornice alfabetica rappresenta sì un vincolo, una limitazione, ma è anche il mistero del componimento. Il lettore esperto[4] è chiamato allo sforzo di schiudere tale mistero rivelando il valore del materiale lessicale, cioè a domandarsi sempre se quanto affiora sul levare del verso è un compromesso sagace che non tramonta prima del secondo stico o diversamente è solo una parola d’arredo o comunque un fatto d’inversione sintattica (OSV, ecc.). Dunque, bisogna diffidare dell’alba, preferendole la luce ultima del tramonto che non teme le ombre. Un esempio è la selezione lessicale inaspettata che lo stile acrostico pretende al livello TET (v. 5): terep, tradotta unanimemente “cibo”, ma il cui significato letterale è rapina, bottino, preda (di una vittoria militare), provvista e alimento proibito.  

Il lettore deve domandarsi se la forma è un riferimento sbrigativo alla manna/quaglie concesse da Dio nel deserto di Sin (Es 16) e quindi sarebbe una sorta di convenzione tacita sul segno linguistico o c’è di più? Indaghiamo: il senso di bottino di guerra risuona anche al crepuscolo del v.6 in “dandogli l’eredità delle genti” su cui la riflessione deuteronomica si è misurata (cf. Giosuè 24, 13 «Il dono della terra, eredità tolta alle genti e assegnata a Israele senza che la meriti»), mentre la sfumatura semantica di provvista (the emergency food name) ci appare, non tanto come un'emergenza di archeologia linguistica, ma più come un'ammonizione sottile del salmista a un certa idea di devozione - che potremmo definire all inclusive - cioè quella di chi, non intendendo pienamente la retorica del patto (berit), nella penuria del deserto di Sin risponde con nostalgica e respinge i doveri dell’alleanza. Certo dal racconto della fuga degli Ebrei si evince sia mancato il tempo necessario per una preparazione ottimale del viaggio, data l’improvvisa decisione di Faraone (Es 12, 39), ma non di meno gli Ebrei partendo portarono tutti i loro armenti e presero tutti i doni preziosi dagli Egizi a discapito dell’eluso approvvigionamento. La parola terep è idonea anche per un’altra ragione, che analizzeremo in seguito e che qui accenniamo: la radice trp è usata per definire il corpo ‘dilaniato/squartato’ di Giuseppe (Genesi 37, 33). Un salmo profondo, dunque, capace di mostrarci attraverso un espediente mnemotecnico – macchinoso solo in superficie – la sua poetica anche oltre la nostra capacità di afferrarla. Insieme a Lutero possiamo lodare: la parola di Dio è un cibo, chi la mangia ne ha sempre più fame.  

 

Quindi il salmo richiede una lettura picēl (concentrata, insistente e intensa) per una comprensione graduale, ma crescente delle tematiche. Un po’ quel che è accaduto al protagonista del film Il re leone (1994) e con lui a noi, in quanto spettatori: il titolo dice tutto della trama, ma Simba pur sapendosi figlio di Re Mufasa, deve prima apprendere il senso dell’appartenenza al territorio attraverso il riscatto di sé stesso e solo dopo diverse peripezie, che lo portano a maturare la necessaria statura intellettiva, può comprendere le reminiscenze dell’insegnamento paterno e accogliere la vocazione a regnare con saggezza. Così dalla cornice alfabetica all’ipertestualità e al simbolismo culturale nel Salmo comprendiamo che i prodigi di Dio – lungi dall’essere mere prodezze – sono epifenomeni di immediato valore pratico-estetico, ma anche le fonti del ricordo – la reminiscenza delle idee è il supremo atto conoscitivo (negli accenti diversi di Pitagora, Orfici e Platone) – che sanciscono l’alleanza Dio-comunità degli uomini favorendo dal qui e oggi all’eternità una vita pienamente appagata per grazia attraverso la fede (Lutero).  

 

 

L’IPERTESTUALITÀ – UNA PROSPETTIVA DAL BASSO  

 

Muovendo dal nostro v. 3b “la sua giustizia permane per sempre” perlustriamo il testo in cerca di analogie di struttura e individuiamo al v. 10c: “La sua lode permane per sempre”; una lode, che secondo il v. 1a muove dal cuore credente traboccante di gratitudine. Prima conclusione, la giustizia e la lode si trovano nel luogo in cui i retti sono convocati al tempo fiabesco di un incessante per sempre (cfr. I Tessalonicesi 5, 16s). Il vocabolo lecad in prima approssimazione, indica la certezza permanente della buona riuscita dell’opera del retto.  

Per il momento lasciamo in sospeso l’intreccio semantico per osservare il procedimento letterario del parallelismo (il più frequente della poesia ebraica) che pone il v.3b in rapporto con 3a “Splendore e maestà è la sua azione” gli attributi regali di Dio (solenne riferimento al MELAMMU dei sovrani accadici), rivelano lo splendore che si effonde nel creato e nella storia. Seconda conclusione: la giustizia nella poetica del salmo appartiene all’area semantica dall’agire sovrano di Dio.  

Sullo sfondo l’alfa e l’omega del Salmo (anzi la ’ALEFe la TAU): il grazie di cuore del salmista in seno al consesso dei retti e nell’assemblea (ai vv. 1 e 10c), fanno capolino due temi: il ricordo e il riferimento a un’assemblea sdoppiata. Il tema del memoriale commemorativo affiora al v. 4a “un memoriale ha fissato per i suoi prodigi” e al v. 5b “si ricorda per l’eternità della sua alleanza” (in nesso di struttura è anche il v. 9b) da cui traiamo in terza istanza la conclusione: la gratitudine muove dalla riconoscenza che avalla la storia di una partnership Dio-essere umano in cui i due contraenti nel ricordo dell’amore altrui attendono al proprio ruolo. Questa partnership non è tra il singolo credente solitario e Dio, ma è tra un credente attivo nella comunità dei retti e Dio [5] .  

Ora possiamo dilettarci nell’altro tema, la differenziazione interna dell’assemblea, quello che fa riferimento a un totale da cui si distinguono i retti (ješarim). Un fatto non nuovo, per esempio in Giosuè 24 si può leggere la distinzione tra assemblea tutta e una parte di essa: il consiglio ristretto. D’altra parte, i retti non sono riconoscibile dal loro status ufficiale (come i magistrati convocati da Giosuè insieme all’assemblea tutta delle tribù di Israele in Sichem), ma sono comuni esseri umani la cui lode con cuore grato per ricordo dell’operato del Santo [6] è sorella gemella dell’agire obbediente (con diletto) ai comandamenti di Dio. Quarta conclusione: a distinguere gli appartati (santi) dagli altri sono, dunque, le mura invisibili che fanno dei primi “veri adoratori” e dei secondi adoratori con labbra lontane dal cuore (cf. I Sm 16, 7).  

Il nesso semantico tra le due azioni: lode grata in assemblea dei retti e obbedienza alla legge è confermato dal ricorso all’imbrunire delle parole “grazie” (todah, vv. 1 e 10) e “rettitudine” ( Jašar, vv. 1 e 8) con cui il salmista si comprende sia come il beneficiario di tutte le azioni che di Dio ricorda sia come l’esecutore di alcune azioni di Dio: la legge ricevuta sul Sinai. Siamo ritornati alle azioni-atti di Dio che rappresentano la giustizia di lui e sono chiamate all’essere per 6 volte con la radice casah (usata anche per dire le azioni dell’essere umano), la cui šabath è il sinonimo pacal (questa forma lessicale è in parallelismo con la tsedaqah di Dio “la salvezza escatologica”) e per altre 10 volte da termini-performativi che finiscono per provocare le 7 parole-azione dell’essere umano, quindi la radice jr’ (timore dell’Eterno) al v.10, segue quanto affiora al v.9 nôra’ (tremendo, detto del nome - quinta preghiera di Kippur). Il significato oggettivo (timore dell’Eterno) procede da quello soggettivo di chi conferisce vita (Dio facendosi partner dell’uomo lo chiama alla vera vita). Nell’espressione timore dell’Eterno è il senso della lealtà al patto da parte dell’uomo che si sostanzia nella presa di distanza radicale dall’autosufficienza, per assumere quella postura conveniente che il vocabolario ebr. nomina kāwānāh: la ‘(buona) intenzione’. Da ciò possiamo inferire una quinta conclusione: la giustizia-ricordo del credente è una testimonianza su due piani: quello liturgico di lode dei prodigi di Dio - ricordati come un vissuto dalla comunità dei ben intenzionati (ekklesia / qahal) - e quello sociale di attuazione sapiente della legge - segno di buona intenzione - per azione in sintonia con i suoi voti (coerenza). Da questi piani si trae una testimonianza bio-agiografia.  

 

 

IL SIMBOLISMO CULTURALE – UNA PROSPETTIVA DAL VERTICE  

 

Lo stile evangelico, una vota commentato il salmo con l’intenzione di familiarizzare con il canone biblico, si interroga sull’origine delle espressioni criptiche nel testo, ovvero di quelle espressioni che la logica non risolve, nonostante siano proprie della parenesi deuteronomistica (Deuteronomit 6, 5 e 4, 29). Il sintagma preposizionale con tutto il cuore (v. 1), intrecciato all’espressione criptica timore dell’Eterno a loro volta in relazione ai temi: sapienza (v.10a), giustizia (v. 3), ricordo (v.4) e alleanza (v. 5 e 9) sono l’area semantica dell'etica del devoto, ma qual è il perché di questa etimologia. Per risalire ad fontes è necessaria un’analisi comparata. Il cono di luce della nostra analisi è sulle tradizioni del Vicino Oriente Antico, ma lo sforzo di rievocazione deve agganciare la direttrice cronotopica opportuna. Data la cronologica post-esilica della redazione del salmo è necessario perlustrare la mezza Luna Fertile di età proto-ellenistica in cerca dell’etica del devoto e possibilmente dei medesimi termini concetto. Si potrebbe muovere un’obiezione a questo orientamento dato il riferimento al MELAMMU dei sovrani accadici, lì ove si dice che le opere dell’Eterno sono splendore (’od) e maestà (adah), ma quell’espressione, in quanto solenne, rappresenta un voluto uso arcaico del vocabolario del devoto e rimarca la funzione regale di Dio in un senso molto concreto, non mediato dai diadochi o epigoni alternativi. Il mistero di questa area semantica: cuore in rapporto a lode, memoria (gratitudine reminiscente), alleanza (berit) e giustizia (le azioni di Dio protese a salvare il suo popolo/comunità locale) non è esclusiva dell’etica mosaica, ma è ben attestato nei contesti influenzati dall'ideologia dell’Antico Egitto, ove il cuore rappresentò la personalità [7] la sintesi di coscienza e sentimento.  

Jan Assmann, – egittologo e specialista di memoria culturale – spiega questo intreccio complesso muovendo da due miti sulla morte di antichità diverse (op. cit. pp. 12-18. 36-40). Prima, osserva la longevità dell’area semantica morte, memoria e immortalità dal III millennio a.C. ad Ecateo di Abdera [8] (Alessandria di Egitto, tardo IV secolo a.C. – inizio età tolemaica); poi, rileva che il lungo corso dell’idea sintetica mostra sia il «nucleo della memoria culturale degli Egizi, [il contenuto dell'etica del devoto, cioè i termini-concetto che stiamo analizzando] sia le forze della preservazione del consolidamento e della canonizzazione si sono infisse con maggior saldezza», diffondendosi nel periodo tolemaico (lo stesso della LXX). In particolare, Assmann ripercorre nel mito più recente le ragioni della trasfigurazione del defunto-imputato. Essa è possibile dopo la giustificazione, una volta superata la prova della macat (termine concetto per verità-giustizia-ordine): il cuore leggero, quanto una piuma, mostrava l’impegno autentico e vero nelle sue opere relazionali) perché nella vita terrena aveva accolto saggiamente la guida del prossimo in seno alla comunità locale di riferimento: ovvero aveva avuto una giusta attitudine verso gli altri. Il mito più antico insiste più sulla ri-costellazione astrale, il secondo sul fatto che la stabilità sociale della comunità di dèi e di uomini sia orientata al bene comune delle relazioni autentiche. Ambo i miti affermano che la vita ultramondana è possibile e auspicabile e si basano sul concetto egizio di giustizia: “le buone opere del defunto testimoniate dagli dèi e dalla società (con i mausolei)”.  

Nel mito più antico, le conseguenze della morte sono simboleggiate dal dilaniamento/smembramento di Osiride; ma la morte è sconfiggibile in ragione del legame che unisce il morto-assassinato al suo prossimo (divino e umano) e fa di tutti (morto, mortali e dèi) una comunità. La comunità svolge la funzione di testimoni favorevoli al morto-Osiri-accusatore e avversi alla morte-Seth-imputato sotto accusa, questa non è in grado di difendersi ed è sconfitta e spodestata. Vince il morto che non è fatto risorgere, ma è reintegrato nell’ordine dell’essere e della vita, la sua nuova identità è quella dello «spirito trasfigurato» nella sepoltura del sarcofago-tomba, una sorta di rinascita nel grembo materno. Invece, se il cuore del defunto risulta gravato dalle macchie del male allora il defunto non sarà traslato e scomparirà per sempre (seconda morte).  

Il mito più recente (rievocato anche nella serie tv 2024 Moon Knight) muove dal modello mitologico della giustificazione secondo il mito più antico per giungere a un’elaborazione radicalmente diversa del tribunale dei morti e all’idea del morto, non come accusatore, ma come imputato che deve giustificarsi di fronte al giudice divino di non aver commesso un lungo elenco di possibili mancanze. Contemporaneamente, la compagine divina della comunità assiste il morto: Anubi provvede perché la bilancia sia in equilibrio, Thor registra ogni esito favorevole e Horus parla in favore del defunto e la veridicità dei suoi no è soppesata letteralmente: il suo cuore è posato su uno dei piatti di una bilancia a due piatti e l’evidenza della prova è nell’equilibrio che il cuore ha con la piuma posta sull'altro piatto, simbolo della verità-giustizia-ordine (la macat): a ogni bugia il piatto con il cuore si abbassa fino al livello infimo di un mostro divoratore.  

Il mito più antico drammatizza la sopravvivenza alla nemica-morte (smembramento del corpo) mediante l’azione di ri-costellazione delle parti del corpo. Il cast è costituito dalle divinità: Osiri (re e dio d’Egitto assassinato), Isi (sposa di Osiri che lo reintegra e vivifica), Seth (la morte rivoluzionaria che esautora uccidendolo il re Osiri) e Horus (il principio che salvaguarda la posizione del defunto nel mondo dei vivi e ne tutela i diritti). Il mito esordisce nel pieno della complicazione con Isi che trova il fratello-sposo assassinato, lo piange insieme a un’altra sorella (Nefti), quindi ne ricompone il corpo congiungendo le parti smembrate così da preservare il cadavere dalla decomposizione. Poi infonde in esse un soffio di vita sufficiente al concepimento di Horus (erede postumo). Con altre divinità Isi restituisce coscienza e personalità a Osiri che può comparire in giudizio contro Seth (la morte). Avviene il processo alla morte (Seth) che perde la causa perché non è in grado di fornire l’evidenza della prova e risulta bugiardo. Osiri (il morto) è giustificato ed è insediato come sovrano nel mondo degli inferi (NB: giustificato significa che gli sono restituite identità e personalità nella costellazione Osiri-Isi-Horus) e Horus eredita il trono del padre sulla terra. Quindi l'ordine astrale è ristabilito. Da innocente assassinato, reso oggetto passivo - in quanto morto - a efficiente membro della società (di mortali, di dèi e di spiriti trasfigurati) poiché «giustificato» (un po’ il nostro “buonanima”). Diversamente, l’altro mito (il più recente) sottolinea che l’onere di provare l’innocenza ricade sul defunto, ovvero è il morto a dover dimostrare di aver vissuto secondo giustizia, cioè di aver assimilato fin dall’esistenza terrena le norme dell’aldilà. Alla base (nel principio) del mito c’è una norma-timore: l’uno vive se l’altro lo guida (proverbio egizio) e la giustizia sta nell’aver accolto quella guida a promozione della comunità locale di cui si fa parte fin dalla breve esistenza terrena.  

Una riprova che il vocabolario dei miti egizi sia la fonte della parenesi mosaica è la radice trp al livello tet, lasciata in sospeso nel richiamo alla parasha di Giuseppe, precisamente Genesi 37, 33, ove il corpo del patriarca – più di ogni altro legato all’Egitto – sia stato supposto dilaniato (trp) da bestie selvatiche. Quindi ripercorriamo la storia di Giuseppe rimirando la stella di Osiri con l'astrolabio sulla scia degli studi di Alessandro Catastini e Cristiano Grottanelli [9] . La parola terep spesseggia nel Salmo 111 come sigillo dell’affidabilità del patto (berit) con l'Eterno, che per quella mancanza di empatia nei confronti dei sentimenti di Giacobbe suscita terrore lasciandogli credere la morte violenta del figlio prediletto, ma inizia una nuova storia di alleanza con Giuseppe per farne il patriarca sognato, in prospettiva della salvezza dell’intera comunità di Israel. Giuseppe fu lì il cibo che salva.  

Alla luce dell’interconnessione tra il Salmo 111 e i miti della valle delle piramidi; in particolare, tra berit (nel senso di patto mosaico) e guida (secondo il proverbio egizio), rileggiamo l’espressione: giustizia-lode per sempre (lacad), sia per come rompe la barriera del tempo [10] (il fu è da noi rimembrato nell’ora come presente) sia per come rompe quella dello spazio (perché nel lontano orizzonte sensibile dei fatti narrati c’è a portata di memoriale la vita per il mio/tuo qui): il ben intelligere/intendere la salvezza escatologica (tsedaqah) comporta l’agire sapiente e autentico (chokmah) nel rapporto di reciproco timore e rispetto con colui che si fa ‘prossimo per eccellenza’ attraverso l’alleanza-berit (partnership): Dio è il partner dell’essere umano così come l’essere umano lo è di Dio (Gn 18, 17-19).  Ecco la conclusione sei: la postura del retto (cioè del temente Dio v. 10a) è quella di chi loda con l’opportuno raccoglimento (con il giusto riguardo) di fronte al ricordo anamnestico dei prodigi epici dell’Eterno che comporta una partnership Dio-Essere umano autentica, vera terapia amorevole alla paura della morte (paragonabile al cuore di madre che asculta il bisogno di protezione del feto), filosoficamente: il superamento del conflitto con l’Heimat di riferimento. Così rettitudine e sapienza in funzione del timore (dell’Eterno) rimanda a quell’etica saggia e attuativa (v. 10b) che trova nel v. 2b (“Oggetto di ricerca per coloro che le amano”) un'anticipazione piacevole (chapats “diletto”). Facendo interagire questi elementi arriviamo all’ultima conclusione (la settima)L’incontro amorevole di lode in assemblea - vincolo dell’alleanza (berit) per sempre tra l’essere umano-chiesa/qahal (Ellul) e il suo Dio-leader - è una proclamazione dell’esistenza di Dio a discapito della morte. Dio lodato per l’opera sua è vivente oggi e qui come fu lì e allora. Sia come morto-imputato (secondo mito) Dio dà l’evidenza della prova di innocenza e lealtà sia come morto-accusatore (primo mito) Dio è trasfigurato in vincitore ultimo del processo a ogni morte. Come un novello Osiri, l’Eterno è con noi (sua comunità) in giustizia e verità.  

 

 

IN CONCLUSIONE  

 

Quanto annunciavamo nel proemio, relativamente alla funzione liturgico-comunicativa di CREDO/SIMBOLO, si rivela in tutto il suo valore ora che il significato del Salmo è rivelato. Rimane la necessità di capire cosa il nostro Salmo prediliga della storia della salvezza. La cornice alfabetica torna ad avere un rilievo spiccato in questa fase dello studio, perché insieme ad avere  il pregio di essere una modalità per fissare i diversi articoli, ricalca alcune gesta epiche, escludendone altre.   

 

Evidentemente è primario comprendere quante e quali siano le tappe della fabula dell’epica biblica. La Torah (Pentateuco) risponde con uno schema in nove tappe: Genesi, Creazione, alleanza con Noè, alleanza con Abramo-Isacco-Giacobbe (e loro discendenza in particolare); Esodo 1-14, Liberazione dall’Egitto (Mosè, Pesach, prodigio al Mar Rosso delle Canne); Esodo 15-Numeri 20, Israele nel deserto (canto trionfale, Mara, Manna, quaglie, Massa di Horeb, vittorie su Amalechiti, il Decalogo, la legge, Tabernacolo, il sacerdozio, le offerte proporzionali, gli arredi sacri, il sabato, peccato di idolatria, le nuove tavole, la rivelazione per autoproclamazione, l’alleanza con il popolo, il Calendario, i sacrifici); Numeri 21-36. Giosuè, la conquista; Deuteronomio (rilettura di Genesi-Numeri), la spiegazione mosaica della legge ricevuta dal popolo di Israele presso il Sinai riunito in assemblea solenne di fronte al legislatore Mosè (qahal/ekklesia).  

Quindi le nove tappe della storia della salvezza di Israele sono: Riunione assembleare in contesto celebrativo (Deuteronomio) / riferimento ai Patriarchi (Genesi) / Esodo (Es 1-14) / la cura di Dio nel deserto (Es 15-18) / Sinai (Es 19, 1 – Nm 10, 10) / Alleanza (Es 34) / Terra promessa (Giosuè) / il rendimento di grazie (passim, ma in particolare Gs 24, 1-13). Questo ordine è discernibile anche in Deuteronomio 6 šemac isra’el YHWH ’eloenu YHWH ’echad.  

 

Nel Salmo 111 questi movimenti sono in ordine diverso: 1)  Assemblea (qahal/ekklesia) riunita nel contesto di un momento liturgico-celebrativo (giorno di festa p.e.): 1b ; 2) Teofania (le parole che rivelano chi Dio sia): 3a, 4b, 7a, 9c; 3) Manca un riferimento esplicito ai Patriarchi, nonostante 5b; 4) Esodo (LIBERAZIONE DALL’EGITTO): 6a, 4a, 9a, 2a, 2b, 3b; 5) La cura del Signore nel deserto: 5a; 6) Sinai (LEGGE DI MOSÈ): 7b e 8b e a; 7) Alleanza mosaica (RINNOVAMENTO sancito dal dono della TERRA PROMESSA): 5b, 9b; 8) Terra promessa e conquista: 6b; 9) Il rendimento di grazie e testimonianza: 1a, 10c 10a, 10b e 2b.  

 

Ricomponendo il credo secondo l'ordine canonico intendiamo osservare da un'altra visuale il senso dell'omissione dei Padri: 1b Nel consesso dei retti e nell’assemblea / 3a la sua azione è splendore e maestà / 4b Il Signore è pietoso eterno / 7a Le opere delle sue mani sono verità e diritto / 9c Il suo nome è santo e terribile / patriarchi / 6a Il Signore mostrò la potenza delle sue opere al suo popolo [liberandolo dall’Egitto] / 9a Egli mandò il suo popolo [nel deserto perché si] redimesse  / 5a Egli ha sfamato coloro che lo temono / / 2a le opere del Signore sono grandi / 2b in esse ci si può dilettare per la vita / 5b si ricorda per l’eternità dell’alleanza con noi / 7b I suoi comandamenti sono stabili, / 8b veri e retti /8a e in eterno immutabili / 9b che stabilì (sancì) / dando l’eredità delle genti al suo popolo (la terra promessa) / 4a e stabilendo un memoriale (festa liturgica) perché si potesse ricordare-capire /  3b la sua giustizia permane per sempre lì ove per sempre il ricordo umano dei prodigi divini si esprime in lode di gratitudine  / 1a e 10c So e Ti rendo lode con tutto il cuore (con gratitudine autentica) per sempre / 10a perché nell’apprendere il rispetto che ti è dovuto e riconoscendoti eterna guida per la vita ho esperito il fondamento della Sapienza / 10b e 2b nonché un’intelligenza operosa ad adempiere la tua volontà nella quotidianità.  

AMEN.  

 

 

La foggia canonica del Salmo 111, non solo lo rende più aderente alla sua funzione liturgico-comunicativa di CREDO,  ma ne qualifica altresì l'omissione dei Patriarchi come un'increspatura nel testo che il devoto autentico può recepire affrancandosi da quell'articolo di fede eluso e, invece di ripetere "a pappardella" con le sole labbra, senza metterci il cuore, può orientarsi su altri articoli [11] . In particolare, riteniamo che l'autore del Salmo ha posto meno in enfasi le cause genealogiche della berit per meglio indirizzare l’alleanza sui vincoli di lealtà/fedeltà diretti e imprescindibili al momento presente della partnership (l’esilio insegna).  

 

A ciascun adoratore/salmista è rivolta la vocazione di farsi partner di Dio lodando lui e la memoria delle opere di Lui di ieri per viverne le conseguenze oggi e per sempre. Allorara in lui troverai nuova forza e nuove capacità. Allo stesso tempo la giustizia è la promessa autentica del credente in assemblea a esserci per l'altro (l'Eterno) e l'altra (ekklesia/qahal) - in equa prossimità - così come l'Eterno è nostra giustizia nel vincolo della reciprocità per soddisfare il bisogno fondamentale di comunità. Cosa può fare comunità più del pane spezzato nel vincolo eucaristico?  

 

 

[1] Tra i quali riconosciamo: l'approccio esegetico (Ernst Käsemann-Fulvio Ferrario), l’analisi diaconale della società (Jacques Ellul), l’ermeneutica dell’ambiente mondo in senso biblico (Dietrich Bonhoeffer), la tensione escatologica con l’ambiente mondo (Jürgen Moltmann) e la meditazione della Parola di Dio (Karl Barth).  

[2] In occasione del giubileo del Centro Evangelico di Cultura in Sondrio del 24 febbraio 2024, nella sua relazione Ciaccio ha descritto i pericoli dell’amplificazione collaterale dell’illusione che su internet crea la bolla comunitaria, auspicando a un generale interesse per la comunità locale, unico vero antidoto alla solitudine. Questa bolla comunitaria è un’illusione in cui si crede di trovare altri con cui si sta bene e invece si trovano cloni di sé stessi che danno conferma a tutte le considerazioni su qualsiasi tema. L’intervento ha le sue basi sulla teoria del Caos secondo l’interpretazione di Alan Turing e di Edward Norton Lorenz (ascoltabile a minuti 36-60 su  https://youtube.com/live/bIlb4R36xZg ).  

[3] In Ravasi 2b è oggetto di ricerca per coloro che le amano. E 4b è pietoso e misericordioso è l’Eterno.  

[4] Si veda Calvino ed Eco, rispettivamente in Lezioni americane e Sei passeggiate nei boschi narrativi .  

[5] Una riflessione sul credente -comunità è già matura in Jacques Ellul, Présence au Monde Moderne. Problèmes de la civilisation post-chrétienne, Collection du Centre protestant d'études, Genève, Roulet, 1948. Non conosco ulteriori sviluppi del concetto.  

[6] QāDōŠ, con W (il santo) e QāDēŠ, senza W (i santi/ i consacrati). Ancora: ŠāLūM, con W (pace), ŠāLēM (completo), queste stesse radice con la WAW assumono un dettaglio semantico che fa riflettere. Le sequenze lessicali con WAW sono prorpie della sfera divina, quelle senza predicano la comunità degli esseri umani. Il costituzionalista Massimiliano Boni, illuminando queste coppie minime, commenta che il ricordo desumibile dalla TNK rappresenta una proposta sul presente/futuro.  

[7] Una riflessione datata ma attuale è in Assmann J., La morte come tema culturale, 2002 Torino.  

[8] Lo stesso che disse di Pitagora: «Apprese dagli Egiziani […] la dottrina della trasmigrazione dell’anima in ogni essere vivente» (FGrHist 264 F25). Sappiamo che gli Egizi non credevano nella metempsicosi, ma, il fatto che sia attribuita a loro sia da Ecateo di Abdera sia da Erodoto, conferisce alla dottrina pitagorica un’origine esotica e venerabile.  

[9]  A. Catastini (a cura di), Storia di Giuseppe (Genesi 35-70). Testo originale a fronte Copertina flessibile, 1994 .  

[10]  Sempre Ecateo notava che i luoghi tombali sono chiamati «case di eternità» e quelli terreni «luoghi di sosta», essendo i primi eterni e i secondi temporanei.  

[11] I credo raramente presentano tutti gli articoli di fede, per esempio, in tre casi di Credo rileviamo l’uso retoricamente sagace dell’omissione di due/tre articoli: da Deuteronomio 26, 3-9 mancano riferimenti espliciti alla cura del Signore nel deserto, la legge del Sinai; da Giosuè 24, 1-27 mancano riferimenti espliciti alla legge (mosaica) del Sinai e all’alleanza ivi sancita; infine, dal Salmo 136 mancano tre riferimenti espliciti al simbolo di fede ebraica: il riferimento ai Patriarchi, la legge (mosaica) del Sinai e l’alleanza ivi sancita.  

Emanuele Campagna

Emanuele Campagna


Responsabile del Centro Evangelico e insegnante di lettere presso la scuola secondaria di Primo Grado

centro.evangelico.cultura.sondrio@gmail.com
 

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