Sabato 27 aprile, ore 17:30.
La volontà di affrontare il tema politologico dell'antifascismo dalla prospettiva inedita del perdono vuole suscitare una riflessione sul livello d'integrazione tra le memorie repubblicane.
Interverranno Fausta Messa (direttrice dell’Istituto sondriese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea), Paolo Ricca (teologo protestante) e Pierluigi Zenoni (collaboratore scientifico dell’ISSREC).
In tempi al vetriolo come quelli presenti, non spesseggia la gratitudine verso le memorie repubblicane che sconfissero il nazi-fascismo, creando un luogo di libertà: la Costituzione italiana.
In Italia, quella storia percorre in modo serrato 4 tappe: 25 aprile 1945, 2 giugno 1946, 22 giugno 1946 e 1 gennaio 1948. L’ Italia si fa … Repubblica costituzionale. Discuteremo di donne e uomini che posero il loro intelletto al servizio dello Stato durante la fase costituente e in quelle successive sino ai giorni nostri nella maniera del PERDONO. Una prospettiva insolita, ma pertinente. L’intenzione è di osservare esperienze di integrazione spirituale in Europa e nel mondo dopo la II Guerra Mondiale.
L’interesse sul tema muove dal Grafic Novel (2019) di Nora Krug HEIMAT : un'indagine-diario dell'autrice (Tedesca naturalizzata americana) che per capire le sue origini e la sua identità ripercorre la storia dei suoi nonni ai tempi del Terzo Reich. Punto di arrivo è la Valtellina, di cui offriamo due dati che interpretano l’atmosfera dell’immediato dopo guerra: la circoscrizione Como/Sondrio/Varese, Provincia di Sondrio ( Referendum del 2 giugno ’46) vede una percentuale del 58,51 dei votanti (40.851 valtellinesi) scegliere la Repubblica. Inoltre, il Fondo Questura , custodito nell’Archivio di Stato di Sondrio, conta 1.301 fascicoli di “sovversivi” uomini e 86 fascicoli di “sovversive” donne, tutte persone attenzionate durante il Ventennio, dal 1924 al 1943. Tantissimi che gioirono della ritrovata libertà.
In prima approssimazione, possiamo affermare che la Valtellina uscì dal periodo Fascista come dissidente e desiderosa di nuovo.
In tempi di democrazia la maggioranza dovette e deve saper dialogare con la minoranza del 28.969 % che votò la monarchia e con quanti fossero stati posti al riparo dell’Amnistia di Togliatti del 22 giugno del 1946. Una delle modalità con cui questa dialettica prende forma è il perdono, che non è un modo poco laico per dire pacificazione, ma un diverso modo di intendere il processo lungo e faticoso di accoglienza verso “il prepotente” che, però, è pronto ad intraprendere un percorso di cambiamento e conversione, a pentirsi.
Entrando nel merito della liberazione, bisogna comprendere: «da cosa fummo liberati quel 25 aprile?». Fummo liberati dal fascismo, che allora era tre cose e oggi una. Allora era un sistema istituzionale autoritario, un’organizzazione squadrista eversiva di picchiatori e un sistema di idee avverse alla democrazia dello Stato liberale. Annalisa Savino (la preside del liceo di Firenze ) osserva: «Il fascismo» non fu da subito «grandi adunate da migliaia di persone», ma espressione di un disagio «nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti».
Oggi per fascismo s’intende la terza e ultima delle tre cose: idee avverse alla democrazia dello Stato, ovviamente modernizzate nei modi, ma nella sostanza è tutta una serie di pregiudizi a cui si dà voce performando i comportamenti della massa: escludere il valore della partecipazione di popolo e il diritto delle persone di dire quello che pensano, condizionando tutti ad esprimersi nel modo pensato dal capo. In questo senso c’è una violenza politica che discrimina ciò che non è pensato dal duca loro. Fuori: le razze diverse dalla sua, le religioni diverse dalla sua, le sessualità diverse dalla sua. Fuori chi s’impegna nel civico con passione solidale verso il prossimo, fuori chi ha un’attitudine democratica ad inquadrare i conflitti e a pensarsi parte del cambiamento per una società migliore.
In quei tempi prepotenti (tra il 23 marzo 1919 e il 28 aprile 1945), una moltiplicità di movimenti eterogenei si contrapposero al regime di Benito Mussolini. Poi dal 14 agosto del 1944, durante la Guerra di liberazione italiana, quei gruppi furono detti antifascisti.
Essere antifascista oggi non è in senso esclusivo aver scelto il lato giusto nella guerra civile di allora, ma insieme a questo è un patriottismo costituzionale avvertito. Patriottismo che è impegno triplice: pratico e sociale a costruire relazioni autentiche (a cacciar via individualismo e paura dell’altro per essere inclusivi e solidali, non indifferenti o ciechi, muti e sordi di fronte a quanto sta accadendo all’altro); politico a favorisca la partecipazione allargata di tutte e tutti ai processi decisionali al fine del riconoscimento dei diritti del prossimo in ragione di una rinnovata fratellanza; quindi, l'antifascismo è impegno personale a studiare il funzionamento costituzionale dello Stato e il welfare per favorire un altro modello sociale di sviluppo economico.
Il cuore dell’antifascismo pulsa nella risposta quotidianità del sì a una comunità migliore, solidale con il prossimo.
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