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Franco Felice Scopacasa e Il C.E.C.

Franco Felice Scopacasa e Il C.E.C.

Il 20 febbraio del 1974 apriva al pubblico il Centro Evangelico di Cultura. Fra i promotori c’erano alcuni pastori di origini italiane attivi in Valposchiavo e in Bregaglia, in particolare Franco Felice Scopacasa; erano sostenuti nei loro intenti da numerosi laici. La sala in Via Malta voleva, infatti, essere più di un luogo di culto, ma un centro di dialogo e incontro oltre i confini confessionali. Nel progetto si cristallizzano infatti più elementi: le necessità dalla comunità metodista locale, quelle della diaspora grigionese in Valtellina e il nuovo contesto culturale seguito al Concilio Vaticano II che ha aperto le porte al dialogo ecumenico. 

Am 20. Februar 1974 wird das Centro evangelico di Cultura in Sondrio eröffnet. Unter den Promotoren befanden sich die Pfarrer des Bergells und des Puschlavs, darunter Franco Felice Scopacasa ­ sie waren allesamt Theologen mit italienischen Wurzeln. Aber auch viele Leien glaubten am Projekt, das nicht nur der kleinen methodistischen Gemeinde der Stadt dienen sollte, sondern auch der neuen Bündner Diaspora im Veltlin und vor allem einem neuen, grossen Ideal, das aus dem zweiten Vatikanischen Konzil hervorging: der ökumenische Dialog zwischen den Kirchen.

 

Il 20 febbraio del 1974 apriva il Centro evangelico di Cultura in Via Malta a Sondrio. Apriva con una conferenza di Paolo Ricca intitolata “L’identità protestante”. Paolo Ricca (oggi qui presente) è un teologo valdese, un professore alla Facoltà teologica di Roma, ma soprattutto è l’ambasciatore del protestantesimo italiano. Ed è una persona che, come pochi, sa raccontare al grande pubblico il messaggio evangelico con semplicità e autenticità, sempre con un impeccabile rigore scientifico. 

Il suo intervento di allora – per la caratura del relatore, il contenuto, l’indirizzo divulgativo – era il manifesto del Centro e cristallizzava l’obiettivo dei promotori. 

Paolo Ricca sarebbe ritornato da lì in poi praticamente ogni anno a Sondrio. Le sue conferenze erano (e sono) fra le più seguite da un pubblico non solo protestante e, soprattutto, non solo credente. E con questi elementi arriviamo direttamente al cuore di quello che Franco Felice Scopacasa e i suoi amici di cordata volevano creare a Sondrio: un forum evangelico, protestante e aperto al mondo. Non una chiesa classica, non una sala di culto, ma un centro per il dibattito sui valori cristiani. 

 

Il compito che mi è stato assegnato è quello di parlare proprio del primo promotore del centro, Franco Felice Scopacasa. Ma tengo subito a precisare che Franco Felice non era solo e che lui, come i suoi compagni di ventura, erano figli del loro tempo. Mi sembra quindi importante dare un po’ di spazio anche al contesto storico. 

Per questo contributo mi rifaccio essenzialmente a tre tipi di fonti: la (poca) letteratura storica, degli articoli commemorativi che riassumono l’attività del Centro e la figura di Franco Felice, come la memoria. La memoria di mio padre Carlo che non se l’è sentita di venire oggi, ma che con Franco Scopacasa è stato uno dei protagonisti della prima ora del Centro, come la memoria di altre persone che l’hanno conosciuto.

Secondo me sono tre gli elementi che hanno portato alla nascita del Centro evangelico di cultura di Sondrio:

 

  1. Certamente, come suggerisce il titolo della relazione, la figura di Franco Felice Scopacasa.

 

  1. Il secondo elemento è la presenza di una diaspora protestante proprio a Sondrio e dintorni.

 

  1. Da ultimo il contesto storico e teologico degli anni Settanta, caratterizzato dal Concilio Vaticano II.

 

 

Ci sono quindi vari elementi che si intersecano, si completano e permetto la nascita del Centro evangelico di Cultura di Sondrio. Un traguardo per nulla scontato e per nulla semplice da realizzare. 

 

 

Sondrio protestante

Per capire le sfide, è il caso qui gettare uno sguardo al passato. Ci sono essenzialmente tre fasi distinte della presenza protestante a Sondrio: una antica che risale alle origini del protestantesimo, una seconda seguita al Risorgimento e una terza, quella del Centro che ha un approccio nuovo all’idea di Chiesa come istituzione in evoluzione e in dialogo con la società.

 

La prima fase

C’è stata una presenza protestante a Sondrio già agli albori della Riforma. Dal 1512 Valtellina, Bormio e Chiavenna erano sudditi della Repubblica delle Tre Leghe, gli odierni Grigioni. E dal 1523, quindi poco dopo nei Grigioni parte il fuoco della Riforma. Dapprima Coira con il suo predicatore Comander, compagno di Zwingli e astuto mediatore politico. È anche grazie a lui che la Dieta di Ilanz concede ampi diritti alle comunità locali per gestire i beni ecclesiastici ed eleggere i propri predicatori. Nei decenni seguenti, comune dopo comune, i due terzi della popolazione delle Leghe passano alla Riforma. Anche per le vallate che rimangono cattoliche cambiano le cose come in poche altre parti del mondo: le comunità, anche quelle cattoliche eleggono, infatti, il proprio sacerdote e amministrano i beni ecclesiastici, attraverso strutture comunali. Una partecipazione che ha le sue radici alla fine del Quattrocento, si concretizza nel 1524 con gli articoli di Ilanz, e che anticipa e in parte spiana la via alla diffusione della Riforma. 

 

In Valtellina queste libertà non arrivano, il vescovo è quello di Como, gli abitanti non sono liberi cittadini, ma sudditi di questa repubblica dei comuni retici. 

 

Nei territori sudditi la diffusione della Riforma prende forma più tardi con i riformatori italiani in fuga dalla Controriforma. La Riforma arriva quindi da Sud, con la repressione dell’eresia da parte della Chiesa cattolica. I fuggiaschi trovano qui rifugio, ma un seguito tutto sommato circoscritto, anche se non irrilevante, che si concentra attorno alle case degli amministratori grigioni e a poche famiglie valtellinesi. Più importante il fenomeno invece a Chiavenna. 

 

Il Sacro Macello del 1620 chiude questo primo capitolo. E lo ricordo coscientemente, perché questa remota storia fa ancora parte della memoria collettiva, del rapporto reciproco di vicinanza e diffidenza fra Provincia di Sondrio e Grigioni. Oggi si guarda con più pacatezza ai fatti storici, ma negli anni Settanta l’eco degli eventi di sangue era ancora percettibile. 

L’ipoteca del passato è un tema che si sarebbe riproposto più volte. E in definitiva questa mano tesa dei Grigioni, arrivata con l’apertura del Centro è anche una sorta di messaggio di riconciliazione a quattrocento anni dal genocidio che ha portato alla fine delle comunità protestanti dell’epoca Riforma.

 

La stazione metodista

Il protestantesimo a Sondrio torna, sempre da sud nella seconda metà dell’Ottocento. A proposito c’è un libro di Giovanni Carrari del 2001 dedicato alla storia delle Chiese metodiste di Milano e dintorni. 

Questa seconda fase di evangelizzazione in Italia segue allo Statuto Albertino, applicato poi in tutto il nuovo regno dopo l’Unità. 

L’articolo uno della costituzione dell’epoca recita infatti: 

Art. 1 - La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. 

Quello che era pensato come una liberazione dai ghetti di ebrei e valdesi (il ghetto delle valli piemontesi), si trasforma anche in un’opportunità per movimenti diversi. Si va dai liberi pensatori agli atei o chi da liberale convinto ha una vena anticlericale o massonica. Si tratta sempre di minoranze, ma comunque di un movimento fortemente legato al Risorgimento e all’epoca. 

 

La Società biblica britannica e forestiera, sostiene questo movimento. L’organizzazione missionaria inglese approda in Italia nel 1804 con l’obiettivo di diffondere la conoscenza della Bibbia. Fra le prime opere c’è la ristampa della traduzione della Bibbia del Diodati, quindi quel testo nato nel Seicento nella Ginevra di Calvino e usata legalmente fino ad allora ormai solo dalle comunità delle due valli grigionesi di lingua italiana, dove la Riforma aveva attecchito, quindi la Bregaglia e Poschiavo. Fortemente invisa dalla Chiesa cattolica, la Società Biblica assume un ruolo importante nella diffusione di un pensiero cristiano dissidente e l’organizzazione assume anche un ruolo importante di sostegno formativo, divulgativo e di sostegno finanziario per l’attività delle missioni delle cosiddette chiese libere.

 

Anche in Valtellina e Valchiavenna inizia questa opera di evangelizzazione. La Chiesa libera di Milano invia Giovanni Battista Blasi. Blasi era nato ad Albano nel Lazio nel 1842 e viene avviato alla carriera sacerdotale. Nel 1870 è registrato fra i membri della Chiesa libera della sua città, c’è stata quindi una conversione che lo portò a seguire i corsi della scuola teologica protestante di Roma. In Valtellina arrivò dopo il 1881 e vi rimase fino alla morte nel 1916, due anni dopo la sua emeritazione dal servizio pastorale. A lui si aggiunge in un secondo tempo l’evangelista inglese Raffaele Wigley. Questi cercano anche il contatto con le comunità di Bregaglia e Valposchiavo senza grande successo. Secondo Luigi Santini che si è occupato della storia della comunità di Bergamo, dove era presente anche una importante diaspora grigionese e valdese, il conflitto è dovuto a differenti visioni fra comunità storiche e chiese libere: “I valdesi erano in genere contrari ai metodi e allo spirito aspro col quale i liberi seminavano l’anticlericalismo piuttosto che l’Evangelo; in questo senso si trovavano in pieno accordo con gli svizzeri stabiliti nei villaggi della Bregaglia, in Valtellina e a Bergamo”. 

Anche la Valtellina si dimostra terreno ostico per la loro attività, in Valtellina i non cattolici incontrarono molte difficoltà. Chi seguiva le attività del predicatore doveva temere misure di ritorsione, anche da parte dell’amministrazione pubblica. Ma i successori di Blasi non si danno per vinti: dimostrativamente la Chiesa metodista volle organizzare il suo convegno nazionale annuale del 1920 a Sondrio, il tema avrebbe dovuto essere il 300esimo anniversario del Sacro Macello. 

Alla fine, gli organizzatori dovettero desistere, l’idea fu percepita come una provocazione a cui le autorità locali si opposero e l’incontro si tenne a Venezia.

Il successo dell’evangelizzazione in Valtellina e Chiavenna sembra essere rimasto contenuto. Carrari, parla di “uno sparuto gruppetto di persone” che faceva riferimento ad una sala di culto a Sondrio. La sede rimane una stazione legata alla chiesa di Milano. 

 

 

Franco Felice

Nel contesto della Chiesa metodista si inserisce la figura di Franco Felice Scopacasa, nato nel 1927. Lui era cresciuto in una famiglia evangelica wesleyana di Trieste. Suo nonno materno era un ex sacerdote convertitosi al protestantesimo e diventato poi pastore. 

 

La famiglia della madre è l’ambiente in cui Franco è cresciuto, visto che suo padre, ufficiale dell’esercito italiano di origini calabresi, morì di malaria in Eritrea quando aveva solo 12 anni. La famiglia viveva ad Arezzo e frequentava la Chiesa dei fratelli, dove il giovanissimo Franco fece i primi passi come predicatore laico. Dopo aver concluso gli studi alla Facoltà Valdese di teologia, Franco Scopacasa venne consacrato pastore nel 1955. Un anno dopo, assunse la carica di pastore a Poschiavo, quindi in Svizzera. Dal 1961 al 64 tornò in Italia per lavorare nella comunità di Trieste e Gorizia, poi tornò in Svizzera: a Castasegna, fino al 1976. E i parenti si avvicinarono a lui: lo zio e la madre si trasferirono a Sondrio e trovarono aggancio al gruppo metodista ancora esistente. È in questo periodo che nasce l’idea del Centro evangelico di Cultura di Sondrio, anche grazie alle relazioni familiari di Scopacasa.

 

Chi lo ricorda lo descrive come un pastore veramente protestante: curioso, critico e anche polarizzante, quindi tutt’altro che un mero amministratore dell’ortodossia riformata. Nelle lezioni di religione era un insegnante esigente che spronava alla riflessione. Era un’insegnante per i bravi, mi è stato detto. Da record è il suo bilancio: fra i suoi allevi c’è la prima poschiavina laureata in teologia, come due pastori. 

 

Ma altrettanto importante era la sintonia con i colleghi di Poschiavo e della Bregaglia. 

Per me importante è la pubblicazione nel 1974 di un’opera collettiva: la nuova liturgia per le Chiese di lingua italiana dei Grigioni. Dallo studio della liturgia della Chiesa antica e della letteratura riformata della Svizzera francese, il Prayer Book inglese e quelle valdesi nasce l’opera che in qualche modo è nel miglior spirito protestante e umanista frutto dello studio delle fonti. Nel gruppo c’erano accanto a lui Otto Rauch, Luigi Giacometti e Carlo Papacella. Con l’opera, gli autori andavano a colmare una lacuna, visto che la liturgia nella chiesa riformata di lingua tedesca aveva un ruolo secondario. Qui si intravvede un riflesso dello spirito del Concilio vaticano II che riscrisse la liturgia cattolica. 

 

E i colleghi si trovavano anche a dibattere i principi del protestantesimo e le nuove tendenze teologiche. Per esempio, parlavano “del ruolo il protestantesimo nella formazione della cultura e della coscienza moderne attraverso l’introduzione di idee e principi quali la sovranità popolare, la formazione volontaria delle comunità ecclesiali, la separazione tra stato e chiesa, la libertà di coscienza, la tolleranza religiosa e il principio dell’autonomia individuale… Insomma la questione dell’influenza del protestantesimo sulla genesi del mondo moderno”. Per questo, insieme i pastori studiavano la storia e le fonti della fede e si consigliavano a vicenda le letture più interessanti.

 

Un altro tema centrale era rapporto tra protestantesimo e modernità. 

Con il primo termine si fa riferimento ai grandi principi teologici dell’epoca della Riforma (soli Deo gloria, sola gratia, sola scriptura). Ma il secondo concetto, la modernità era altrettanto importante perché indica la ricerca, l’apertura e l’orientamento verso il nuovo. Il rapporto di una tradizione religiosa con la modernità dipende quindi dal modo di porsi nei confronti dei cambiamenti in atto. E il protestantesimo fu particolarmente coinvolto nelle trasformazioni del mondo occidentale.

 

I colleghi e amici sognavano un Forum che facesse vivere questo spirito di curiosità e larghi interessi, uno spazio che desse la parola agli esperti, a chi dubita, a chi si pone delle domande e riflette sulle fonti bibliche e sulla realtà del presente. 

 

La nascita del CEC

 

L’idea di creare a Sondrio un centro è un passo che segue questa linea ed è un’idea di Franco Scopacasa, ma abbracciata, sostenuta e realizzata da altri. Franco era a Castasegna in quegli anni, le questioni pratiche sono state affrontate da altri. In primo luogo, dai pastori di Poschiavo e Brusio, Carlo Papacella e Gino Cantarella, e dal presidente della comunità di Brusio, Gino Tognina. Geograficamente, la Valposchiavo è ben più vicina. A sostenerli c’era il presidente dell’Hilfsverein, quindi l’associazione di aiuto protestante grigione, Christian Barandun che si occupò del finanziamento, battendo cassa in tutta la Svizzera.

 

Si procedette a passi: il pastore di Brusio Gino Cantarella girò in lungo e in largo la Valtellina alla ricerca della diaspora grigionese. In Valtellina c’erano diverse persone riformate. Questo non è quindi quel fenomeno dato da un proselitismo o da esperienze personali, ma dalla mobilità sociale che porta nel secondo Dopoguerra riformati grigionesi a vivere in Valtellina. Nei sanatori di Sondalo e nelle fabbriche di mobili di Morbegno c’erano pure dei valdesi, la diaspora c’era e bisognava cercarla. 

Il Centro aveva bisogno di una comunità che gli avrebbe dato anche una legittimazione. E la presenza grigionese è una delle ragioni principali – accanto alla volontà di contribuire a superare il retaggio del passato – che ha portato l’organizzazione ecclesiastica grigionese d’aiuto, l’Hilfsverein, a sostenere l’impresa. 

 

Ma c’era un secondo elemento altrettanto fondamentale: nel rapporto fra Valtellina e Grigioni rimaneva un’ombra, quella del Sacro Macello. Che si voglia o no, anche a 400 anni dal genocidio del 1620 nella memoria collettiva di molti sia nei Grigioni sia in Valtellina era ancora presente fino almeno alla generazione che ora gode della pensione. 

In questo gelo ideologico intervenne lo spirito del Concilio Vaticano II: la scoperta dell’ecumenismo, l’apertura al dialogo. Una stagione che fece vivere ad una generazione di persone impegnate nuove esperienze di fede, ben oltre i confini della Chiesa cattolica. Nell’idea dei promotori, questo centro doveva servire alla piccola comunità locale, ma anche essere un ponte verso il dialogo fra i cristiani. E qui nei primi anni Settanta anche in Valtellina il terreno era fertile. 

 

L’acquisto della sala

 

Il primo scoglio da superare era la ricerca di uno spazio adatto che sostituisse l’angusto locale esistente di Via Baiocca. C’era addirittura una chiesa in vendita a Sondrio, ma i promotori ritennero subito che non fosse adatta. Ci voleva un locale polifunzionale. Per i riformati, il culto non ha bisogno di un luogo consacrato e quindi si posero le basi per una sede diversa, con un ufficio, una biblioteca e uno spazio sufficiente per una sessantina di persone.

 

Visto che l’Hilfsverein era un’istituzione d’aiuto della Chiesa cantonale senza beni immobili, si preferì delegare l’acquisto alla Comunità di Brusio. Anche perché la persistente diffidenza del settore immobiliare di Sondrio avrebbe quasi mandato a monte l’operazione. A salvare la situazione fu Gino Tognina che grazie a relazioni familiari riuscì a concludere l’acquisizione del locale in via Malta nel novembre del 1973. I testimoni ricordano il prezzo come “ragionevole”, cosa che permise di acquistare il mobilio, mettere un controsoffitto e le tende per migliorare l’acustica e arredare la vetrina. Interessante è che fra i sostenitori confederati più importanti c’era la Chiesa di Appenzello esterno, un cantone svizzero che ha vissuto a sua volta esacerbati conflitti confessionali che hanno poi portato alla divisione territoriale fra comuni cattolici e protestanti nel 1597. Anche qui riecheggia un’eco di una storia remota di lotte confessionali.

 

L’acquisto portò però a una vera e propria diatriba all’interno della comunità di Brusio. È dalla Riforma che le comunità grigionesi gestiscono i propri beni ecclesiastici, l’acquisto di un edificio extraterritoriale era uno sgarro alla tradizione e questo poi per un ideale non condiviso. Come abbiamo già visto nell’Ottocento, il proselitismo non è nelle corde della riforma tradizionale e consolidata. Solo un anno dopo, si rifirmano i contratti e il locale diventa di proprietà della Chiesa cantonale grigionese. Una situazione giuridica che rimane tale fino ad oggi.

 

 

 

 

L’attività

 

E qui ritorno all’inizio della mia relazione, a quel 20 febbraio del 1974. L’inizio dell’attività del Centro, allora garantita dai pastori di Poschiavo e Brusio. Nel 1976 si aggiunge anche Franco Felice Scopacasa che si trasferisce dalla Bregaglia a Brusio. In un’intervista alla stampa per l’occasione, Franco Scopacasa affermava che il Centro “non vuole essere una rivalsa, ma un’offerta di dialogo”. E dalla sua apertura, il Centro offre un’intensa attività di conferenze e dibattiti su temi religiosi, ma anche sociali. E nella programmazione si rispecchia “il pluralismo strutturale del protestantesimo che non poteva dare luogo a una risposta comune alle diverse sollecitazioni culturali e sociali, ma portò a un ventaglio di risposte che corrispondevano alle diverse correnti emerse dalla Riforma”.

 

Gli ospiti sono spesso d’eccezione e portano i grandi temi a Sondrio. Proprio nel maggio del 1974 in Italia si tiene il referendum sul divorzio e il Centro ospita il magistrato valdese Giorgio Peyronel che si sofferma sul tema in chiave laica. Si parla di storia con Salvatore Caponnetto, Susanna Peyronel e Giorgio Spini, i grandi storici della Riforma italiana.

 

Ma si dà molto spazio anche ai relatori cattolici. Don Giovanni Franzoni, abate benedettino di San Paolo fuori le mura e uno fra i partecipanti al concilio Vaticano II. Lui era un esponente delle comunità di base e la sua conferenza suscitò tanto interesse che buona parte del pubblico era rimasta fuori. Anni dopo, per Gianfranco Ravasi, grande teologo cattolico, oggi cardinale, si passò per questo alla sala della Banca. 

 

Si diede spazio anche a intellettuali fuori dall’ortodossia cattolica, tenendo un po’ fede a quella vena anticlericale e anticattolica della matrice Ottocentesca. A Sondrio arrivò, infatti, anche Giulio Girardi, un salesiano dissidente che si occupava di cattocomunismo e di teologia della liberazione. O Filippo Gentiloni, un gesuita che rinunciò alla tonaca per diventare un esponente del dissenso cattolico. Filippo era lo zio dell’oggi più noto ministro Paolo Gentiloni, commissario europeo e prima capo del governo italiano.

 

Nel 1989, il Centro organizza poi un grande convegno storico sulla Riforma in Valtellina. Un’operazione realizzata in collaborazione con la Società storica valtellinese e l’omologa chiavennasca. Il convegno, organizzato da Carlo Papacella, e gli atti, curati dal professore di Bologna e Verona Alessandro Pastore, sono una pietra miliare nella ricerca su questa pagina comune di storia che prima era stata rigorosamente studiata separatamente e letta in modo diverso da parte grigione e italiana.

 

I promotori, quindi Franco Felice Scopacasa, Gino Cantarella, Carlo Papacella, Gino Tognina (scomparso prematuramente pochi anni dopo l’apertura del centro) e Christian Barandun avevano scelto insieme un motto per il Centro, un versetto di una lettera dell’apostolo Paolo ai Tessalonicesi che avrebbe guidato l’attività: “Esaminate ogni cosa e ritenete il bene”. Questo hanno cercato di fare al centro a Sondrio e questa è, credo, l’impegno per il futuro del Centro.

 

 

Emanuele Campagna

Emanuele Campagna


Direttore del Centro Evangelico e insegnante di lettere presso la scuola secondaria di Primo Grado
 

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